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Luca 4,1-13

 

Gesù viene messo alla prova da satana 

 

di Graziella Ribaudo

L’intento dell’evangelista Luca è quello di proclamare la storia di Gesù come storia di salvezza universale, compimento della rivelazione biblica. Egli, dando evidente centralità alla Scrittura, riporta una serie di eventi e insegnamenti con i quali Dio ha manifestato la sua benevolenza verso l’uomo.
L’episodio delle tentazioni è successivo alla genealogia, attraverso la quale l’evangelista intende dimostrare l’appartenenza di Gesù al popolo eletto e la Sua duplice origine, umana e divina, che riporta sino ad Adamo e poi, sorprendentemente, sino a Dio, creatore di Adamo e di ogni uomo (cfr. At 17,29).
Gesù viene tentato perché è Figlio di Dio (cfr 3,22) e perché “pieno di Spirito Santo” (cfr 4,1) resiste alle tentazioni. Lo Spirito è il vero protagonista. Dopo aver ricolmato Gesù (cfr. 3,22), lo conduce nel deserto (v. 1). La prova a cui Gesù è sottomesso è voluta da Dio stesso e da lui sostenuta, essa si svolge nel deserto, luogo di solitudine e di tentazione, dove gli Ebrei ricevettero la Torah e si costituirono come popolo, imparando a mantenere uno stato di unione tra se stessi (le dodici tribù) e Dio. Nell’Antico Testamento la tentazione non costituisce un’esperienza negativa, ma una prova necessaria per saggiare la fedeltà a Dio e far comprendere all’uomo il senso della sua figliolanza e della sua dipendenza da Lui.
A condurre Gesù nel deserto è lo Spirito, a tentarlo è il diavolo: l’avversario per eccellenza, l’accusatore, il calunniatore. Oltre all’usuale personificazione del potere del male, Luca utilizza un ruolo drammatico di chi costituisce la radicalità del male.
Ogni tentazione è collegata a un ambiente: il deserto dove è assente il nutrimento, i regni del mondo, il tempio. Se confrontato con il brano sinottico di Matteo, questo di Luca attesta l’inversione della seconda tentazione con la terza, al fine di far culminare tutto a Gerusalemme, con un procedimento che conduce alla città santa, in senso geografico e teologico al tempo stesso, poiché in essa avviene l’innalzamento di Gesù e avverrà l’ultima tentazione, quella della croce preannunciata dal v. 13.
Gesù è “tentato” (peirazomenos) (cfr. At 9,26; 16,7; 24,6), “messo alla prova” con intenzione cattiva (cfr. At 5,9; 15,10), quest’ultimo è il significato prevalente, pur non annullandosi le sfumature del primo.
Le tre richieste del diavolo non manifestano alcun dubbio sull’ origine divina di Gesù: “se sei Figlio di Dio”, forma ipotetica della realtà, equivale a “poiché sei Figlio di Dio”. Posta l’identità di Gesù, il diavolo gli suggerisce di interpretare la sua condizione filiale come un potere, per sfuggire ai limiti della condizione umana. Per evitare la fame, il diavolo incita Gesù a trasformare la pietra in pane, ma Gesù interpreta quel bisogno vitale, ricordando che l’uomo non vive di solo pane (cfr. Dt 8,3). Per saziare il bisogno di potere, il diavolo invita Gesù a fare un gesto di sottomissione a lui, Gesù, al contrario, riserva l’adorazione unicamente a Dio (cfr. Dt 6,13). La tentazione del prodigio religioso e del sogno di sfuggire alla morte, espressa con le parole del Sal 91,11-12, viene respinta con quelle di DT 6,16.
A differenza degli eroi e dei grandi della terra e della storia che sono stati sottoposti a prove molto difficili, nell’opporre il triplice rifiuto alle tentazioni del diavolo, Gesù non si appella alla propria forza e alla propria bravura, ma alla Parola di Dio, alla volontà di Dio, che precede la sua e ne è il fondamento. Egli ha trascorso ben quaranta giorni nel deserto, digiunando, cibandosi solo della Parola, pieno dello Spirito Santo, in intima comunione con il Padre. A chi lo spinge a considerare la condizione di Figlio come un potere, oppone la propria fedeltà alla volontà di Dio; il Figlio non si esonera dall’obbedienza all’unico Dio prescritta a tutto il popolo di Israele, al contrario compie la propria missione nella piena consapevolezza che solo Dio deve essere adorato.
I quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto e le tentazioni singolarmente respinte e superate con la radicata obbedienza alla Scrittura costituiscono l’esempio del Figlio di Dio. Egli, nella totale obbedienza alla missione affidatagli dal Padre, insegna a chi vuol porsi alla sua sequela che la sola via di salvezza risiede nell’ascolto e nell’incarnazione della Parola rivelata.

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