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Luca 2, 22-40

Gesù bambino è presentato al tempio 

 

di Marina Rando

Il brano è teologicamente molto denso. L’intenzione dell’evangelista, infatti, non è riferire al lettore come i genitori di Gesù osservassero le pratiche religiose giudaiche, cui Lc accenna brevissimamente (solo tre versetti su diciotto); ciò che invece gli interessa è evidenziare il senso teologico che l’evento assume nella persona di Gesù. È questo Bambino di appena 40 giorni il protagonista di tutta la pericope: è lui che, piuttosto che essere portato, porta i suoi genitori a Gerusalemme.
Avviene il primo incontro di Gesù con la città santa che, nell’ottica lucana, costituisce il centro, geografico e simbolico, dell’opera di salvezza. È qui, a Gerusalemme, che si inizia a parlare di purificazione, offerta, sacrificio, redenzione: come per tutto il vangelo dell’infanzia, anche il nostro brano va letto alla luce dell’evento pasquale, che a Gerusalemme avrà il suo compimento. A questo proposito, è sintomatico che Lc citi Es 13,2 per dichiarare che “ogni maschio primogenito è sacro al Signore”, ma nulla dica del riscatto del bambino (cfr. Es 13,13; Nm 18,15-16). I genitori di Gesù rinunciano a qualsiasi rivendicazione sul figlio: il loro primogenito appartiene totalmente a Dio, questo Figlio non viene riscattato perché sarà lui a riscattare l’umanità intera con l’offerta della sua vita. Significativo anche il fatto che Lc non accenni minimamente al sacerdote incaricato di compiere il rito di purificazione nel tempio: l’unico, vero sacerdote è Gesù, che offre se stesso al Padre per la nostra salvezza.
Se non parla del sacerdote addetto al culto, Lc invece ci presenta due figure molto particolari, un uomo di nome Simeone e una profetessa, Anna. Si tratta di due persone anziane: di Anna si dice esplicitamente, di Simeone si lascia intendere con un accenno alla sua morte (v.26). Anziani, dunque, ma giovani nello spirito. Simeone ha lo sguardo proteso in avanti, è un uomo che si lascia guidare dallo Spirito Santo e, proprio per questo, sa attendere e sperare. È in attesa della consolazione d’Israele, cammina verso il compimento di quanto predetto dall’antico profeta (Is 40,1). Lc ci presenta la scena quasi plasticamente, i genitori che portano il bambino Gesù al tempio e, mentre lo portano, Simeone lo accolse tra le braccia. È come se Simeone corresse per prendere il bambino, quasi strappandolo dalle mani della Madre: è l’Antico che si affretta a ricevere il proprio senso dal Nuovo; è la promessa reiterata per secoli che finalmente si realizza, ora, nella carne fragile di un bambino, attraverso cui la salvezza preparata da Dio raggiunge tutti, Israele e le genti. Ma occorre un cuore aperto e docile, disposto a mettersi in discussione, a lasciarsi cambiare, a uscire da sé; la spada della Parola trafigge l’anima, rivelando i pensieri del cuore (cfr. Eb 4,12-13). Chi si chiude alla sua azione, immerso nella propria superbia e autosufficienza, si esclude da quell’abbraccio d’amore che, come ci insegna Simeone, dà senso a tutta la vita.
La seconda figura che l’evangelista ci presenta è una donna: possiamo dire che Anna incarni simbolicamente la parte femminile dell’Israele fedele al Signore e proteso verso il compimento messianico. Innanzitutto, è qualificata con il raro titolo di profetessa, come le antiche Debora (Gdc 4,4) e Culda (2Re 22,14). Poi, porta lo stesso nome della madre di Samuele (1Sam 1,2), il cui cantico ha ispirato il Magnificat. Ancora, presenta molte caratteristiche simili a quelle di Giuditta: è vedova, assidua nei digiuni e nelle preghiere (Gdt 8,4-6) e “andò molto avanti negli anni” (Gdt 16,23). Anna richiama inoltre la vedova della parabola lucana, che invoca Dio giorno e notte (Lc 18,7), pregando sempre senza stancarsi. Aperta totalmente al Signore, sa riconoscere i segni della Sua visita in quel Bambino, di cui diventa testimone. E così, dopo i pastori, anche Anna è evangelizzatrice: sono le categorie socialmente insignificanti, se non addirittura disprezzate, ad annunciare la lieta notizia di un Dio che si fa piccolo, un Dio che si consegna a chiunque si mostri disponibile a lasciarsi avvolgere dalla Sua luce (cfr. Lc 2,9), e si fa trovare da chi, affidandosi, sa perseverare, attendere, sperare.
Il brano si conclude con il ritorno della famiglia a Nazareth e un piccolo sommario (parallelo a Lc 1,80) sulla crescita del bambino; l’evangelista sta preparando il lettore al secondo viaggio di Gesù nella città santa (vv.41-52).

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