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Luca 9,1-17

 

Missione apostolica

 

di Anna Rita Capasso

Il contesto del nostro brano evangelico è caratterizzato dalla missione di Gesù nei villaggi della Galilea e dall’invio dei dodici ad aiutarlo (9,1-6). L'evangelista segue una linea di conferimento: chiamata, investitura, invio, in un solco di continuità tra la missione di Gesù e quella dei dodici. Egli affida ai suoi discepoli le sue stesse prerogative messianiche: realizzare nella storia i segni concreti della venuta del Regno e rivolgersi alle “pecore perdute della casa d’Israele”; annunciando che il “regno dei cieli è vicino” . Nella predicazione di Gesù, la venuta del regno di Dio indica che, inviando nel mondo il suo Figlio, Dio ha deciso, per così dire, di prendere in mano di persona le sorti del mondo, di compromettersi con esso, di agire dal suo interno. L’aspetto nuovo ed esclusivo del messaggio di Gesù, si rivela nella storia come il suo stesso Signore, come il Dio vivente. Da qui scaturisce quel senso di urgenza che traspare da tutte le parabole di Gesù, specialmente le cosiddette “parabole del regno. È scoccata l’ora decisiva della storia, ora è il momento di prendere la decisione che salva; il banchetto è pronto: rifiutarsi di entrare perché si è appena preso moglie o comprato un paio di buoi o per altro motivo, significa esserne esclusi per sempre e vedere il proprio posto preso da altri. Ecco allora il richiamo alla sobrietà, e la fiduciosa libertà dei missionari da ogni altra preoccupazione.
Nei versetti seguenti ci viene presentata una folla bisognosa, affamata. Esse bramano la presenza di Gesù, la sua persona, perché con le sue parole e le sue azioni egli è il vero cibo capace di saziare la fame di ogni uomo. Ed ecco che Gesù accetta di farsi prossimo a quanti sono nel bisogno: «accoglie le folle, annuncia loro il Regno di Dio e guarisce quanti necessitano di cure». Ben presto giunge la sera e i Dodici – consapevoli della loro povertà: “abbiamo solo cinque pani e due pasci!” – si rivolgono a Gesù, chiedendogli di congedare le numerose persone che lo seguono, affinché, abbandonando quel luogo deserto, possano recarsi nei villaggi vicini per trovare cibo e alloggio. Ma il loro Maestro, che ha appena accolto le folle, compiendo tutto ciò che era in suo potere per donare loro la vita, non accetta il loro invito e li sollecita con un preciso comando:
"Date loro voi stessi da mangiare" ( v.13). E’ un comando contro il buon senso, la razionalità, dato che i discepoli hanno appena manifestato a Gesù che la loro povertà è un impedimento a fare quanto richiesto; ma Gesù proprio in quella povertà scorge la spazio necessario del dono, la condizione in cui Dio può mostrare la sua misericordia e la sua benedizione.
Di fronte all’ampiezza della necessità (v.14 “C'erano infatti circa cinquemila uomini") essi si trovano del tutto inadeguati poiché possono contare solo su cinque pani e due pesci.
Ma sono loro che devono risolvere il problema e l'unica cosa che viene loro in mente è andare a comprare pane. Ma non è quello che intende Gesù: "Egli disse ai discepoli: Fateli sedere per gruppi di cinquanta. Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti" . Questo dividere la folla in piccoli gruppi sembra che preluda, o che voglia indicare, le comunità cristiane che si trovano insieme per Celebrare la cena del Signore, il pasto del Signore.
"Fateli sedere per gruppi di cinquanta" e i discepoli obbediscono..
"Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li diede ai suoi discepoli…" , questo versetto fa risaltare la lettura eucaristica che Luca fa della benedizione e della distribuzione dei pani, accentuando la corrispondenza col racconto dell’ultima cena del Signore narrata da lui stesso al cap. 22,19-20 dove vuol sottolineare il dono che egli farà di se stesso ai discepoli: “Questo è il mio corpo che è per voi”. I verbi evidenziati da Luca: “prese il pane”, “rese grazie”(in greco eucharistò da cui «eucaristia»), “lo spezzò", sono termini che esprimono e realizzano il dono totale di Gesù per noi nei segni del pane e del vino. Ciò significa che non possiamo disgiungere il dono del “Pane di vita” dalla passione, morte e risurrezione, il banchetto conviviale dal banchetto sacrificale. La celebrazione eucaristica è banchetto, è convivialità, ma resta sempre banchetto sacrificale, mistero pasquale. È questo mistero pasquale che i discepoli sono chiamati a vivere; infatti, a loro è chiesto di distribuire nella misura in cui la distribuzione dà ciò che è dato a loro. Il Signore ci ha costituito destinatari del dono. Quanto più siamo nutriti da lui, tanto più siamo chiamati a dare quanto ci è stato dato.
Come conclusione del racconto Luca riprende il motivo marciano della sazietà di coloro che avevano mangiato (v. 17). La sazietà è un motivo ricorrente nell’AT (cf. Es 16,8.12; 2Re 4,44; Sal 37,19; 132,15), ma nel presente contesto assume un significato messianico ed ecclesiologico: è il Messia che negli ultimi tempi offre la salvezza in modo pieno è la anticipa non solo in questa circostanza, ma anche nella Cena, di cui il miracolo è una prefigurazione. Nelle dodici ceste di pezzi avanzati è simboleggiato il popolo di Israele, al quale Gesù offre per primo la salvezza.

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