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Mt 22,15-46

 

Nessuno era in grado di rispondergli

 

di Saro Calò

 

Continua, anche a Gerusalemme, l’opposizione a Gesù, intensificatasi fin dal capitolo 11. Sono in discussione l’identità del figlio di Davide, l’origine della sua autorità, il Regno che sta presentando. Troviamo quattro controversie, riferite anche da Marco (12,13-37) e in parte da Luca (20,20-44). Gli interlocutori, rappresentativi del giudaismo, cercano di far cadere Gesù (vv. 15.35) su questioni importanti: il tributo a Cesare che vedeva in contrasto erodiani e farisei con gli zeloti; la risurrezione dei morti negata dai sadducei; il comandamento più grande che preoccupa i farisei. Tutti lo chiamano Maestro, ma non vanno oltre. Il quarto punto è posto da Gesù.

Al v. 15 c’è  l’inizio con l’intenzione di “coglierlo in fallo nei suoi discorsi”. Dinanzi alla parola di Gesù farisei ed erodiani “rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono (v. 22); “La folla, udendo ciò, era stupita dal suo insegnamento” (v. 33). Al v. 46 la conclusione è questa: “Nessuno era in grado di rispondergli e, da quel giorno, nessuno osò più interrogarlo” .

Per il tributo a Cesare: gli erodiani sostenevano gli occupanti, i farisei vi si adattavano in cambio della libertà religiosa, gli zeloti ritenevano dovere religioso non sottomettersi. Affermando che Gesù è veritiero e insegna la via di Dio, gli pongono la domanda tranello se fosse lecito pagare il tributo a Cesare. Sono convinti che qualunque risposta attirerà le ire di una delle parti. Gesù, senza schierarsi, proclama la radice della libertà in Dio, dinanzi a cui bisogna valutare tutto. Con questa libertà di figli, sappiano assumere le loro responsabilità nella società degli uomini. Questa risposta  rinnega sia la lotta violenta, sia la rassegnazione dinanzi all’ingiustizia dell’ordine costituito, verso cui ha detto e dirà parole inequivocabili. Ma lo fa senza rinnegare il bisogno di governare il tempo provvisorio del nostro mondo.

La seconda controversia, posta dai sadducei, riguarda la resurrezione. Cercano di mostrare, con esempio concreto, quanto sia ridicola e insostenibile la dottrina dei farisei sulla resurrezione: “Alla resurrezione, dunque, di quale dei sette lei sarà moglie?” (v.28).

 Gesù, pensano, è in scacco: qualunque risposta lo metterà in difficoltà verso una parte. Questo caso fa riferimento alla legge del levirato, per la quale un cognato doveva sposare la cognata se suo marito moriva senza lasciare figli maschi, per la discendenza. Gesù affronta i due aspetti che emergono, rilevando che non conoscono né le Scritture, né la potenza di Dio. La legge del levirato riguarda solo questo mondo; in cielo non si prende moglie o marito, ma si è come angeli (ai quali i sadducei non credono). Poi Gesù richiama l’alleanza che Dio stringe con gli uomini, luogo essenziale della rivelazione.  Attraverso Es 3,6 fa notare che l’espressione “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”  parla di un Dio dei viventi. Senza la prospettiva ultraterrena che senso avrebbe la rivelazione anticotestamentaria che rivela la realtà del “Dio vivente” e che “dà vita”? Ne consegue che “Non è il Dio dei morti, ma dei viventi”.

La terza controversia s’innesta nella molteplicità delle prescrizioni dei 613 precetti, tratti dalla thora, di cui 248 gravi e 365 proibizioni. In questa selva di imposizioni c’è un comandamento fondamentale? La risposta di Gesù unisce l’amore di Dio e l’amore del prossimo, costituendone un unico comandamento, ma con la priorità del primo a cui il secondo viene rapportato. L’amore di Dio è fondante, ma l’amore di Dio e l’amore del prossimo sono inseparabili: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (v. 40).

Gesù, prendendo l’iniziativa, pone il problema della sua identità. Si tratta del mistero del Messia Figlio e Signore di Davide, cuore della loro fede messianica. Richiama la domanda sulla sua autorità (21,23) e la domanda posta ai discepoli “Voi, chi dite che io sia?” (16,15). Poiché Davide (Sal 110) chiama il Messia che è suo figlio “mio Signore”, significa che il Messia è qualcosa di più che un discendente dalla dinastia davidica e di Davide stesso. Emerge l’allusione all’origine divina del Messia di fronte al loro messianismo terreno. Spronandoli a prendere in considerazione che lui è il Messia, non riceve risposta. Non erano in grado di rispondergli e non lo interrogano più.

Niente può sottrarsi a questa domanda di Gesù che penetra nel più intimo di tutta la realtà umana, e  mette tutto dinanzi alla presenza di Dio: dal gioco politico (22,15-22), alla domanda sulla resurrezione (22,23-33), alla morale e alla legge (22,34-40).

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