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Mt 20,1-16

 

La sorpresa della gratuità nella giustizia

 

 

di Carmela Gelsomino Drago

 

 

Questa parabola appare soltanto in Matteo, illustra la condizione del lavoro avventizio nel mondo ellenico-romano. I datori di lavoro andavano sulla piazza della città in cerca di disoccupati disposti a farsi assumere. Operai di questo tipo lavoravano per qualsiasi paga venisse loro offerta. Se necessitavano altri operai, con lo scorrere delle ore, ne venivano assunti altri con la stessa paga. L'insoddisfazione potrebbe apparire più che ragionevole a noi, ma il capitalista dell'antichità era padrone dei suoi soldi, "Non posso fare delle mie cose quello che voglio?" (Mt 20,15) Gli operai vengono rimproverati perché non approvano che gli altri ricevano quanto loro. Il datore di lavoro insiste sul suo diritto: dando agli uni non toglie nulla agli altri.

C’è una giustizia umana, che noi tentiamo di instaurare nella nostra vita sociale, nelle relazioni con gli altri. È una giustizia che merita non solo attenzione, ma che va realizzata affinché sia possibile la convivenza e salvaguardata la pace. Purtroppo oggi tale giustizia umana è contraddetta in molti modi e non è più ritenuta vincolante. Per questo dilagano l’illegalità e la corruzione. "La gente comune” non sente più la giustizia umana come atteggiamento necessario per ogni persona e come prima condizione per vivere. Il “giusto” non appare oggi esemplare e quindi imitabile.

C’è però una giustizia divina, che non sconfessa quella che gli uomini hanno elaborato nel loro cammino di umanizzazione, ma la trascende, perché ad essa è intrinseca la misericordia. È altamente significativo che molti cristiani siano sempre pronti ad attestare e a chiedere con forza che Dio sia riconosciuto giusto, ad affermare che la sua giustizia è inappellabile, proiettando però in Dio la loro convinzione di giustizia che si oppone alla misericordia. Anzi, dicono che la misericordia di Dio non va svilita, e ciò può avvenire solo se la sua giustizia regna e si manifesta in quella logica legalizzata nei secoli: se c’è delitto, deve esserci punizione; se c’è peccato, si esige il castigo.

Ma Gesù, è venuto a rivelarci il vero volto di Dio, è venuto a mandare in frantumi le immagini che noi fabbrichiamo, custodiamo con amore e poi proiettiamo su Dio, essendo proprio lui il rivelatore definitivo di Dio (Gv 1,18); in particolare attraverso le parabole Gesù ci racconta cos’è la giustizia di Dio.

Quando, alla sera, viene l’ora del salario ai lavoratori, il padrone inizia a pagare gli ultimi chiamati nella vigna e poi risale fino a quelli dell’alba, dando a tutti indistintamente una moneta d’argento. Ecco dunque accendersi gelosia e mormorazione da parte dei primi chiamati. Com’è possibile? Perché chi ha lavorato fin dal mattino riceve quanto chi ha lavorato un’ora soltanto? Dove va a finire il merito? Che giustizia è mai questa?

E inizia la contestazione. Il padrone li chiama e ricorda loro di aver pattuito il compenso di una moneta d’argento, dunque egli ha agito come promesso. Poi aggiunge: “Non sono forse libero di dare la stessa paga anche a chi ha lavorato meno?”. Tutti, infatti, per vivere e poter mangiare

insieme alle loro famiglie avevano bisogno almeno di una moneta d’argento. Senza di essa gli operai dell’ultima ora non avrebbero portato a casa nulla, e dunque avrebbero sofferto la fame.

Scopriamo, allora, che quel padrone narrato da Gesù è immagine di Dio, di un Dio che si prende cura di tutti gli uomini, in particolare dei più abbandonati, degli scarti della società. Un Dio che chiama tutti, a tutte le ore e in ogni situazione: basta rispondere al suo amore che non è mai meritato! Un Dio che ha un cuore di misericordia e che vorrebbe che noi imparassimo dal suo cuore ad avere misericordia e a gioire insieme, anziché contestare quando il fratello riceve un dono.

La spiegazione sorprendente del Padrone fornisce la chiave di lettura della parabola: “Amico, io non ti faccio torto ... Prendi il tuo e vattene; io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te...” Queste parole spiegano l’atteggiamento del padrone e indicano il messaggio che Gesù vuole comunicare: il padrone non fu ingiusto, poiché agì d’accordo con quello che aveva stipulato con gli operai, un denaro al giorno. E’ decisione sovrana del padrone dare agli ultimi la stessa paga che aveva stipulato con quelli della prima ora. Costoro non hanno diritto di reclamare. Agendo con giustizia, il padrone ha diritto di fare il bene, che lui vuole, con le cose che gli appartengono. La domanda finale tocca il punto centrale: "Oppure, tu sei invidioso perché io sono buono?" Dio è diverso! I suoi pensieri non sono i nostri pensieri (Is 55,8-9).

Lo sfondo della parabola è il punto d'unione tra il popolo d’Israele e i pagani. Gli operai della prima ora sono il popolo ebreo, chiamato da Dio a lavorare nella sua vigna. Loro sopportano il peso della giornata, da Abramo a Mosè, da oltre mille anni, nell’undicesima ora, Gesù chiama i pagani a lavorare nella sua vigna ed essi giungono ad avere la preferenza nel cuore di Dio. “Così, gli ultimi saranno i primi e i primi, gli ultimi”.

Non dobbiamo mai fare paragoni tra i doni fatti a noi e quelli fatti agli altri, altrimenti mostriamo “un occhio cattivo”. La giustizia di Dio include la misericordia, l’amore che non è mai meritato, e l’amore non solo è più grande della fede e della speranza, ma in Dio vince anche sulla sua giustizia (Es 34,6-7).

Questa parabola è un canto all’amore di Dio che –ripeto – non è mai meritato, ma accolto con gioia come dono e come amore riversato su tutti noi, tutti fratelli, e per Dio tutti figli amati con uguale intensità.

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