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Mt 18,1-11 . 20,20-28

 

Partecipare alla vita comunitaria

 

 

di Saro Calò

 

 

Nel percorso che stiamo facendo con il Vangelo secondo Matteo, abbiamo visto l’insorgere e l’intensificarsi di controversie e opposizioni a Gesù (particolarmente dal cap.11 in poi). Abbiamo visto il delinearsi del senso travagliato della fede e del volto di una comunità di discepoli che ci fa intravedere una chiesa in divenire in cui la confessione credente si sviluppa nella realtà della quotidianità della storia.

In questo discorso ecclesiastico di Gesù, il quarto, troviamo brani vari che hanno come punto di forza l’insegnamento di Gesù ai suoi discepoli sulle relazioni da tenere tra loro come comunità di suoi discepoli, con chiare esigenze di appartenenza al Regno. Come il discorso missionario (cf 10,15.23.42), anche questo è scandito dalla solennità di “In verità vi dico” (18,3.13.18.19) e sembra condurci alla risposta a Pietro circa il perdono (18,22). Il discorso è anche scandito dalla presenza del Padre che è nei cieli, “Padre mio”, “Padre vostro”. Viene indicata una via, una conversione identificante la comunità dei discepoli, in sintonia con il seguire Gesù, secondo Gesù (cf Mt 16,24-28): notiamo lo spirito di infanzia (vv.1-4), l’attenzione fraterna verso i più deboli (vv. 5-9), l’attenzione personale, non di massa, per chi smarrisse la strada (vv. 12-13), l’autorevolezza fraterna e chiara (vv. 15-18), l’apertura al perdono (vv. 21-35), che sembra richiamare le antitesi con il “vi fu detto ma io vi dico”, dove ci viene rivelato che anche il nemico va considerato “prossimo”. C’è dentro la rivoluzione dell’amore, in cui è possibile comprendere il senso di prossimo, che in modo emblematico ci viene presentato nella parabola del buon Samaritano (Lc 10,25-37). E’ il rapporto con il Padre che dà verità alle nostre relazioni, che pone il piccolo nella sua vera dignità, che ci fa capaci di essere prossimo e ci fa entrare nella prospettiva “perdono”.

Gesù stesso ha parlato di minimi nel Regno e di grandi (cf. Mt 5,19; 11,11): bisogna uscire dai loro (nostri) schemi per comprendere.

In quel cammino che si muove tra comprensione e dubbi, i discepoli chiedono: “Chi è dunque il più grande nel Regno dei cieli?” Gesù non risponde direttamente, ma, alla maniera dei profeti, pone un gesto simbolico, che subito sconvolge, rivoluziona le prospettive arriviste, primaziali, proprie del comprendere e del non comprendere, del divenire ancora confuso. In questa comunità l’ordine delle importanze, delle grandezze è “altra cosa”, risulta addirittura invertito. Bisogna andare dalla nostra idea di grandezza alla grandezza dell’umiltà! Ecco, il bambino accolto è proprio Gesù, “chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (v. 5), come chi ha fame … nel discorso escatologico (Mt 25,31-46). Gesù ci dice che per capire il modo, secondo il Vangelo, in cui gli uomini ci dobbiamo porre gli uni verso gli altri, occorre che sia chiara la nostra situazione nei confronti di Dio. Possiamo dire che i rapporti tra noi uomini si definiscono correttamente solo attraverso la conversione a Dio. Quando ci scopriamo di fronte a Lui piccoli, la domanda su chi è il più grande nel Regno dei cieli, ha questa risposta: “Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel Regno dei cieli” (v. 4). Evidentemente non è questione di infantilismo, né di idealizzazione dello stato naturale dell’infanzia, ma del fatto che qualunque sia la nostra età e la nostra condizione, l’uomo deve porsi sempre con umiltà davanti a Dio: come un bambino che per crescere si affida all’adulto. Divenire come un bambino è percepire che il Padre ci chiama sempre a crescere, a scoprire la bellezza della vita.

In questa prospettiva occorre stare attenti a non scandalizzare gli altri,e a maggior ragione i piccoli, (vv. 6-7; cf. 17,27) ed anche a non scandalizzarci noi stessi (vv. 8-9). Scandalizzare è porre impedimenti a credere, a crescere ed è anche, di rimbalzo, a danno dell’autore di scandalo.

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